Non é dato sapersi come andrà a finire con l’epidemia di COVID 19, il coronavirus che sta monopolizzando l’informazione dei media a livello mondiale. Al 22 febbraio il sito del Worldometers che aggiorna in tempo reale sulla diffusione del virus parla di 77.924 casi, 2362 decessi e 21277 guarigioni.
Il tasso di mortalità del COVID 19 si colloca intorno al 2%-2,5%. Secondo alcuni si tratta di una percentuale sottostimata, per motivi politici da parte del governo cinese. Altri pensano invece questo dato possa essere sovrastimato perché in Cina molte persone non si rivolgono agli ospedali per sintomi respiratori che possono essere scambiati per influenza e il numero di coloro che sono guariti senza essere censiti sia molto più elevato di quello ufficiale. Pur in questo clima di elevata incertezza, quello che sappiamo è che il virus è stato individuato in un tempo rapidissimo e questo fa ben sperare per l’individuazione di un vaccino efficace nei prossimi mesi.
Senza nulla togliere alla pericolosità del virus, si tratta di indicazioni che mettono il COVID 19 su un livello di rischio per la salute non molto distante da quello di una normale influenza stagionale che in Italia alla quarta settimana del 2020 ha causato in via diretta e indiretta secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità una media giornaliera di circa 230 decessi. Rispetto alla SARS che presentava un tasso di mortalità quasi del 10% o all’Ebola che uccideva la metà dei contagiati, il paragone con il COVID 19 è anche molto più rassicurante e nonostante l’elevato livello di contagiosità il virus appare assai meno letale.
Il problema del dibattito sul COVID19 è che oggi si parla quasi esclusivamente del virus e non delle reazioni delle persone di fronte alle informazioni del contagio. Questo vuol dire che le persone mediamente reagiscono in modo completamente irrazionale di fronte a fenomeni descritti in modo tale da fare scattare paure e emozioni.
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